18 Settembre

Sezione: non-accadde/

18 settembre 1712 – sono ancora vivo, anche se più simile ad un fantasma che ad un essere umano; ad ogni modo, questo è l’ultimo giorno della mia esistenza mortale - September 18, 1712.–Still am I living, though liker to a vision than a human being; but this is my last day of mortal existence”. Ultima annotazione, con addio al mondo, sul diario di Robert Wringham, riportato nelle ultime pagine del bizzarro libro “Memorie personali e confessioni di un peccatore giustificato”, dello scozzese James Hogg. Il romanzo (ma è un romanzo?) è in tre parti: (1) La narrazione dell’editore; (2) Le memorie personali, tratte da un manoscritto trovato in modo alquanto macabro; (3) Una breve conclusione dell’editore. Le memorie personali sono raccontate in prima persona da un Robert Wringham o Wringhim, che viene convinto da un essere demoniaco, noto solo al lettore e a Wringham stesso, di essere un “eletto” (in senso calvinista, cioè “assolto” o “giustificato”) e quindi di poter commettere tutti i delitti che vuole, tanto eletto rimane. Il libro, possiede una notevole ricchezza di temi, tra cui è difficile individuare quello prevalente. L’attacco contro il Calvinismo è belluino, ovvio fin dal titolo e tanto più notevole in quanto scritto da un (poco convinto) calvinista. Una seconda evidente peculiarità è la presenza di un “doppio” (il celebrato “doppelgänger” letterario) del protagonista, artifizio, credo, inventato da E.T.A. Hoffmann. In verità qui siamo confrontati con un triplo ed anche un quadruplo (contandoci anche l’autore), che il lettore potrà contare da sé. Il povero Hogg avrà avuto le sue magagne, ma, come un suo personaggio, fu letterariamente perseguitato da vivo e da morto da certi suoi colleghi, per cui il suo libro non ebbe alcuna fortuna durante la sua vita e dovette aspettare André Gide per essere riesumato cent’anni più tardi (1924). Il lettore diligente troverà molte altre cose in questo libro, una sorta di miniera di temi di ricerca, che oggi sarebbe ancor più importante se i suoi più ovvii bersagli, tra cui il rigoroso Calvinismo del tempo, avessero ancora qualche peso al mondo.

(“The Private memoirs and Confessions of a Justified Sinner”, 1824, 471 Kbytes).

La conclusione del romanzo racconta le vicende della “mummia scozzese”, quasi una simbolica visione del futuro del libro stesso. Pure il libro aveva un “doppio”.


Teresa Mancha muore il 18 settembre 1839, un mercoledì. Alla sua morte il poeta José de Espronceda scrisse il “Canto a Teresa”, considerato la miglior elegia amorosa della poesia spagnola. Il Canto venne incorporato nel poema filosofico incompiuto “Il Mondo Diavolo” come canto II, di 352 versi in ottava rima. L’autore, in una sua nota, lasciò scritto che il canto II “non è legato in alcun modo al Poema”, una specie di invito a nozze per gli esperti che si accinsero subito a trovare questi inesistenti legami. Il Canto è una bella poesia romantica facile, altisonante, focosa, con belle immagini, molto lunga (quasi sempre abbondantemente tagliata nelle antologie) e probabilmente in buona parte insincera, dubbio che ho nei riguardi di tutti i poeti romantici. Il “Mondo diavolo” tratta più in generale il destino dell’uomo nel mondo, che è il diavolo - non però necessariamente un diavolo che vuole la perdizione dell’uomo, ma che gli propone sfide continue. Conclusione: il lettore non particolarmente interessato alla letteratura spagnola salterà la maggior parte del “Mondo diavolo”. Poi leggerà il canto a Teresa e giudicherà. Magari si leggerà anche un’altra poesia di Espronceda, la “Canzone del pirata” - che consiglio senza restrizioni - e, ci scommetto, la troverà migliore. Oltre tutto gli verrà il dubbio che esistessero anche coraggiosi pirati spagnoli che facevano polpette degli Inglesi, non soltanto pirati inglesi che facevano polpette degli Spagnoli. Non c’è comunque Spagnolo che non conosca il trionfante inizio della “Canción del pirata”.

“Con diez cañones por banda
viento en popa, a toda vela…”

Non devo neanche tradurre.

(“El Diablo Mundo”, 1841 incompiuto, circa 550 pagine).

(“La canción del pirata”, 1836, 106 versi)