15 Gennaio

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit: “Se una relazione diventa una croce, mettetecela sopra.”


15 gennaio
1503, domenica. Secondo la tradizione, un po’ apocrifa, ma non poi tanto, la disfida di Barletta fu lanciata il 15 gennaio 1503 nella “Osteria di Veleno” o “Cantina del Sole” in Barletta. Essa fu rapidamente accettata e organizzata e fu combattuta già il 13 febbraio 1503, data questa abbastanza sicura.
Massimo d’Azeglio ne fece un romanzo, relativamente breve, in cui raccontò da un lato la disfida, dall’altro l’amore di Ettore Fieramosca per la bella Ginevra.
È questo forse il più tipico romanzo storico italiano dell’Ottocento (I Promessi Sposi sono un po’ più di un romanzo storico), da leggersi per conoscere il genere. Peccato però (per me) che l’incipit dica testualmente: “Al cader d’una bella giornata d’aprile dell’anno 1503….”, giorno in cui nel romanzo viene lanciata la sfida, spingendo la tenzone nel 1504. Manzoni non l’avrebbe fatto e non avrebbe dovuto permetterlo: dopotutto era suocero di d’Azeglio dal 1831.
(“Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta”, 1833, 130 pagine).
L’incipit era il primo assaggio di una serie di strafalcioni storici, e di ogni altro genere, che furono subito notati da diversi dotti. Il curioso lettore può trovare un libretto anonimo di un centinaio di pagine, comparso già nel 1833, dal titolo “Per lo Ettore Fieramosca del d’Azeglio – osservazioni e racconto”, che cerca di mettere i puntini sulle i.


18** In questa data (come apprendiamo alla scena XVI) si svolge il terzo atto de “Il figlio di Giboyer”, di Emile Augier, dramma a cui alcuni critici contemporanei assegnarono la stessa importanza de “Le nozze di Figaro”, di Beaumarchais. Si può anche essere d’accordo, in quanto poi resta al lettore la responsabilità di esprimere un giudizio sull’importanza delle Nozze di Figaro (il dramma, non l’opera, sull’importanza della quale non si discute). Il Figlio di Giboyer è un dramma imperniato sul puro amore di una giovane coppia idealista, un po’ scontato, che si svolge sullo sfondo politico della scelta del capogruppo del partito legittimista, scelta che si compie in salotti eleganti, ipocriti, viziosi etc.. Il dramma condanna in blocco, ma senza particolare virulenza, il partito della destra (legittimista, monarchico, clericale) come ipocrita e venduto. Curiosamente ad un certo punto, in una nobile perorazione, vien detto “Disprezzo la nobiltà. La sola distinzione che ammetto tra gli uomini è la fortuna” (Atto V, scena III). Capirei “il merito”, ma la nobiltà secondo me ha esattamente la stessa legittimità della fortuna. (“Le Fils de Giboyer”, 1862, 5 atti, in prosa). Augier stesso, probabilmente irritato per le polemiche della destra, scrisse un’introduzione all’edizione del 1863, in cui spiegò che il titolo avrebbe dovuto essere “I clericali”. Con queste sue parole diede al dramma un colore anticlericale che il lettore obiettivo difficilmente vi riconoscerebbe.


19**, articolo, presumo autentico, del giornale La Stampa di Torino, che riferisce il fatto di una ragazza madre priva di mezzi che abbandona un bambino in una chiesa, si pente, si presenta alla polizia e viene subito condannata. L’articolo è riassunto e commentato da Martino Stanga nel suo “Memoriale”, capitolo IX de “Gli ammonitori”, di Giovanni Cena, di cui Martino Stanga è il protagonista. Vedi 15 agosto.