14 Maggio

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit:”La donne si sono abituate a prendere l’iniziativa, ma non al sollievo di sentirsi dire di no.”

14 maggio
3754 aC del calendario Giuliano pre-datato, che corrisponde al 17 del secondo mese (Iyar, cominciando da Nisam) dell’anno 7, giorno in cui, secondo il Libro dei Giubilei (Sepher hayYobhelim) un po’ apocrifo, o almeno pseudoepigrafo, avrebbe avuto luogo la tentazione di Eva. Altri commentatori del passato dicevano che Adamo ed Eva stettero nel Paradiso terrestre un solo giorno. È del tutto possibile. Bisogna naturalmente ricordare a questo punto il “Paradiso perduto” di John Milton, superclassico inglese (il quale però conta dieci giorni dalla creazione di Adamo alla sua cacciata). Personalmente mi pare che, in contrasto con i testi biblici, i vari personaggi di Milton siano alquanto loquaci, con relativamente poco profitto. Tre capitoli del Genesi, per un totale di 80 versetti, vengono diluiti in 11 libri, quasi 10000 versi, e ci vogliono nove libri prima che Eva mangi la mela. Nel dodicesimo libro le cose si muovono più in fretta: si va dalla cacciata al giudizio universale in 649 versi. Il finale è bello.
(“Paradise Lost”, edizione 1667 in dieci libri, 1674 in dodici libri, 10565 versi. Vedi 11 ottobre).
Sul peccato originale scrisse anche, insieme ad innumerevoli altri, Anselmo di Aosta. Questo prolifico scrittore e viaggiatore a lungo percorso, salutato con il dubbio epiteto di primo degli scolastici, lasciò in altra sua opera, il “Proslogion”, la prima forma di quella che forse è l’unica veramente temibile prova dell’esistenza di Dio, anche se penso che non l’abbia scritta in modo chiarissimo. La prova (un po’ rivista) può essere scritta in una riga: (Se esistere è meglio che non esistere),” l’Essere che possiede tutte le perfezioni possiede anche la perfezione dell’esistenza”, cioè, per prima cosa, necessariamente esiste. Infatti, anche se non possiamo sapere in che consista la perfezione dell’esistenza, non si può pensare che non includa l’esistere come opposto al non esistere, come lo intendiamo noi. Questa forma della prova ontologica è abbastanza simile alla più rigorosa forma datale da Kurt Gödel, pubblicata postuma. La prova ontologica, bisogna dire, lascia un po’ la bocca amara, perché sembra all’improvviso tornare su sé stessa e trasformare in una conclusione quella che a molti (che secondo me non afferrano il senso della prova) sembrerebbe una premessa. Tuttavia, piuttosto che provare a controbatterla, di norma si preferisce ignorarla. Altrimenti, o si afferma che non è evidente che l’esistenza sia preferibile alla non esistenza o si dice – ma troppo tardi - che una prova di esistenza basata sulla logica è comunque inaccettabile. Già. Oppure … (“Proslogion”, scritto nel 1077-1078, 6410 parole, 25 pagine).

1509, lunedì. Sconfitta veneziana ad Agnadello in Gera d’Adda o Ghiara d’Adda, a cui ha partecipato il contadino Ruzzante (o Ruzante), protagonista del dialogo “Il Reduce o il parlamento”, di Angelo Beolco, detto il Ruzzante. Per parlamento si intende probabilmente una conversazione tra il reduce malconcio e male in arnese, il suo compare e la donna che ama, e che, vedendolo malmesso, lo pianta. C’è un quarto personaggio, un “bravo”, il cui solo compito è quello di prendere a legnate il protagonista. Il Ruzante/Ruzzante è un interessante autore del Cinquecento, che, verosimilmente uomo non rozzo come si compiaceva di far credere, descrisse vicende contadinesche nelle sue cinque commedie e nei suoi dialoghi drammatici. Lo stile è realistico, l’umorismo è diretto e il linguaggio, in cui non mancano le volgarità, è quello dei popolani, in un dialetto padovano del tempo, non immediato da leggere. Nelle sue opere si è talvolta voluto vedere un intento rivoluzionario. Possibile. Però le classi che dovevano ribellarsi non andavano a teatro e le classi contro cui avrebbe dovuto esserci la rivoluzione trovavano invece la cosa divertente.
(“Il Reduce o Parlamento del Ruzante che iera vegnú de campo”, dopo il 1509, 10 pagine).

1910, sabato. Termina il romanzo “Il Gattopardo”, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con l’umiliante visita del cardinale di Palermo (era il milanese Alessandro Lualdi, il cui nome non è fatto nel testo) alle signorine Salinas per ispezionare la loro collezione di reliquie. Le ultime parole del nobile libro sono “Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida”, che risponde all’incipit, nel maggio 1860:” Nunc et in hora mortis nostrae. Amen”.
(“Il Gattopardo”, 1958, 327 pagine).

1752, venerdì. Delitto di Appin, cioè uccisione di Colin Roy Campbell of Glenore, detto “la volpe rossa”, il cui assassino non fu mai trovato. Vi assiste David Balfour, protagonista di “Rapito” di Robert Louis Stevenson. Bella descrizione della fuga di David attraverso le “Highlands” della Scozia. Il titolo intero, che riassume il romanzo, è: “Rapito, cioè memorie delle avventure di David Balfour nell’anno 1751: come fu rapito e fece naufragio, le sue sofferenze in un’isola deserta: il suo viaggio negli altipiani selvaggi; la sua amicizia con Alan Breck Stewart, ed altri noti Giacobiti dell’Altopiano; con tutto quello che ebbe a soffrire per mano di suo zio, Ebenezer Balfour di Shaws, così chiamato falsamente; scritto da lui stesso ed ora pubblicato da Robert Louis Stevenson”.
(“Kidnapped: Being Memoirs of the Adventures of David Balfour in the Year 1751: How he was Kidnapped and Cast away, his Sufferings in a Desert Isle; his Journey in the Wild Highlands; his acquaintance with Alan Breck Stewart and other notorious Highland Jacobites; with all that he Suffered at the hands of his Uncle, Ebenezer Balfour of Shaws, falsely so-called: Written by Himself and now set forth by Robert Louis Stevenson “, pubblicato a puntate nel 1886, 440 Kbytes).