6 Giugno

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit:”Il vivere è come un bicchiere di vino. Molto dipende da come e con chi lo si beve.”


6 giugno
1434, corrispondente al “18 schewal dell’anno 837 dell’Egira”, data in cui Sadi dedica il suo libro alla Sultana Sheraa. Il libro è “Zadig, il libro del destino”, di Voltaire. E’ inferiore a Candide, ma occasionalmente divertente, anche se i riferimenti alla vita ed ai tempi dello scrittore richiedono allenamento per essere apprezzati. Del resto, il destino ha peso in questo romanzo quanto in ogni altro romanzo di questo mondo (altrimenti credo che non si scriverebbero romanzi), e Voltaire sembra essere soddisfatto da spiegazioni ortodosse della Provvidenza. Particolarmente interessante il capitolo XX (Ediz. 1747), “l’Eremita”, che non fu inventato da Voltaire, ma che lui scrisse meglio degli altri. Leggere almeno questo.
(“Zadig, ou la Destinee”, 1747, 21 capitoli brevi, 195 Kbytes)

1944, martedì.
Les sanglots longs
Des violons
De l’automne
Bercent non coeur
D’une langueur
Monotone.

I singhiozzi lunghi
Dei violini d’autunno
Cullano il mio cuore
Con monotono languore

Nel meta-copione della storia, il 6 giugno ricorda anche un poeta Francese. I versi citati qui sopra erano parte del messaggio in codice che annunciò alla resistenza francese che il giorno 6 giugno 1944 avrebbe avuto luogo lo sbarco in Normandia, inizio della fase finale della Seconda Guerra Mondiale (o meglio, della seconda guerra dei Trent’anni, 1914-1945). I versi sono attribuiti alla “Canzone d’autunno”, dalla collezione di “Poemi Saturnini”, di Paul Verlaine, presentazione del poeta sulla scena letteraria. In realtà i versi citati sono piuttosto tratti dalla versione che ne diede il cantautore francese Paul Trenet, perché il quarto verso di Verlaine era “Blessent mon coeur - feriscono il mio cuore”. La poesia di Verlaine (18 versi) è un capolavoro, come molte delle sue poesie, di cui è bene non restare all’oscuro. Forse le “Romanze senza parole” sono ancora meglio. Verlaine fu il prototipo dei “poeti maledetti”, a cui diede il nome lui stesso. Questi sono ancora comprensibili. Poi vennero i poeti che vaneggiavano (per avere un’idea si scorra “Rrose Selavy” di Robert Desnos – piccolo libro la cui lettura riesce ciononostante ad essere una grande perdita di tempo). Ma poi?
(“Poèmes Saturniens”, 1866, 40 poesie per lo più non lunghe);
(“Romances sans paroles”, 1874, ventun poesie);
(“Rrose Selavy”, dal 1922, 150 aforismi surrealisti).
Del sodalizio dei poeti maledetti fece parte Arthur Rimbaud, che ebbe una burrascosa associazione con Verlaine. Di Rimbaud consiglio di leggere come assaggio “Il vascello ebbro”, scritto a diciassette anni. A me pare un poco Salgari trasportato per cento versi nell’Olimpo, tra Muse allucinate. E poi si può leggere altro, se questo tipo di poesia piace.
(“Le bateau ivre”, 1871, 100 versi in cui si creano mondi nuovi).